Delle cose mortali nulla v'è di più incerto degli eventi guerreschi, nulla di più imprevedibile, nulla che esorbiti di più dai pensieri degli uomini. La vittoria non dipende nè dal numero nè dalle forze.

[Coluccio Salutati - cancelliere fiorentino del XV sec.]



venerdì 10 settembre 2010

"OPLOMACHIA": REGOLE per il COMBATTIMENTO dei GLADIATORI

"Uri, vinciri, verberari, ferroque necari"
"Sopporterò di essere bruciato, di essere legato, di essere morso, di essere ucciso per questo giuramento" [Petronius Satyricon 117]
Paradossalmente questo terribile giuramento forniva una sorta di evoluzione e di onore ai gladiatori; come afferma Carlin Barton: "Il gladiatore, attraverso il suo giuramento, trasforma in volontario quello che in origine era un atto involontario, così che, nel momento stesso in cui assume i panni di uno schiavo condannato a morte, egli diviene contemporaneamente un uomo che agisce secondo la propria volontà"

Il gladiatore era un particolare lottatore, durante l'Impero Romano; il nome deriva dal gladio, una piccola spada corta usata molto spesso nei combattimenti. La pratica dei combattimenti di gladiatori viene dal Sannio e, come molti altri aspetti della cultura sannitica, fu subito adottato dai romani. La sua origine è da ricollegare al cosiddetto munus (termine che in latino ha il doppio significato di incarico e di dono) e cioè all'abitudine dei personaggi più facoltosi di offrire al popolo, a proprie spese, pubblici spettacoli in occasione di particolari circostanze, per esempio duelli all'ultimo sangue fra schiavi in occasione del funerale di qualche congiunto.

Il primo spettacolo con gladiatori si svolse probabilmente nel 264 a.C., nel 105 a.C. i giochi divennero pubblici. I combattenti potevano essere dei veri professionisti, nuovi gladiatori inesperti, condannati, o degli uomini liberi, senza distinzioni di razza, né di sesso (i combattimenti con donne erano comunque estremamente rari): molto spesso erano originari di terre lontane (per esempio Numidia, Tracia, Germania), e si proponevano volentieri, in modo da poter progredire in questa carriera.
L'addestramento dei gladiatori era ancora più approfondito di quello praticato nelle scuole militari romane. Praticavano la scherma, il maneggio di armi particolari, e miglioravano la loro condizione fisica con faticosissimi allenamenti ed i centri di addestramento rivaleggiavano tra loro nel cercare di produrre i migliori combattenti. Questi combattimenti, certamente spesso mortali, erano molto regolamentati e non somigliavano per niente alla caricatura presentata dai film di Hollywood.
Non bisogna inoltre confondere i combattimenti di gladiatori con i veri spettacoli nei quali venivano impiegati animali selvatici o venivano proposte ricostruzioni di battaglie.

Gli storici contemporanei studiano ormai con una nuova ottica la gladiatura romana, in un profilo più "sportivo", rimarcando così, nettamente, una separazione con la storiografia classica, influenzata dalla fede cristiana, molto ostile a certe pratiche.
Secondo la cultura popolare, prima del combattimento i concorrenti si recavano sotto la tribuna dell'Imperatore, quando egli era presente, e urlavano: “ Ave Caesar, morituri te salutant.”, (“Ave Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano.”).
La storiografia più recente ha confermato l’infondatezza di questa “notizia”: si ritiene infatti che la frase sia stata pronunciata da condannati a morte che durante la ricostruzione di una “Naumachia” abbiano tentato di ingraziarsi l’imperatore Claudio, il quale però, per nulla intenerito, rispose semplicemente “Continuate”.
Ogni categoria di gladiatori aveva le proprie peculiarità, in materia di equipaggiamento e di colpi permessi. Ogni categoria di gladiatori aveva dei vantaggi e degli svantaggi. Cercando di rendere pari le chances di ogni combattente, i romani dosavano questi vantaggi e questi svantaggi. I combattimenti più classici mettevano di fronte ad esempio:
· I Reziari contro i Secutores
· I Traci contro i Mirmilloni

È da smentire la credenza secondo cui, al termine del combattimento, il gladiatore perdente fosse generalmente ucciso per giudizio della folla. È probabilmente vero che il pubblico esprimeva il suo gradimento, e forse anche la volontà di vita e di morte; ma era estremamente raro che un gladiatore professionista fosse ucciso, perché questi atleti erano estremamente costosi da addestrare e mantenere. Soltanto chi si comportava vilmente era "condannato a morte" dal pubblico, il che accadeva comunque raramente: i combattenti di carriera erano esperti nel dare spettacolo e il pubblico non voleva vederli morire, affinché potessero tornare in futuro a dare spettacolo.
L’organizzatore dei Giochi, imperatore compreso, doveva pagare una cifra molto alta per ogni Gladiatore ucciso, non era perciò francamente incline a chiederne spesso la morte.
Sul famoso gesto del pollice verso, le fonti sono scarse e discordanti. Un passo delle Satire di Giovenale («verso pollice vulgus cum iubet») sembra dare spazio alla circostanza, ma le fonti storiche propriamente dette non ne parlano. Altre espressioni sono pollicem premere e pollex infestus. In realtà, in tutti i passi latini, il problema verte su quale sia il senso da dare all'espressione «verso pollice» o «converso pollice» o simili, se cioè pollice girato debba intendersi all'insù o all'ingiù. Appare certo, ad esempio, che il pollice rivolto in basso non significasse la morte per il gladiatore.

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