Delle cose mortali nulla v'è di più incerto degli eventi guerreschi, nulla di più imprevedibile, nulla che esorbiti di più dai pensieri degli uomini. La vittoria non dipende nè dal numero nè dalle forze.

[Coluccio Salutati - cancelliere fiorentino del XV sec.]



martedì 26 aprile 2011

IL CAVALIERE DI SANTA MARIA DEI SERVI: Un enigma faentino

La lastra funeraria con figura di Cavaliere, suggestivamente collocata all’ingresso dell’Emeroteca comunale, restaurata con il contributo della sezione faentina del Rotary Club, proviene dalla Chiesa di Santa Maria dei Servi.
Sulla lastra appare adagiata la figura di un guerriero con il capo posato sul cuscino e le mani congiunte in preghiera, gesto insolito che dona all’immagine un senso di profonda pietas.
L’uniforme che lo riveste è resa in maniera puntuale e, nonostante il fortissimo logorio, risulta ancora leggibile nei minimi particolari, dal bacinetto con barbuta alla corazza sotto veste, ai guanti di grossa pelle lamellati in ferro, alla daga e spada appese al cinturone e legate alle “catene d’armi”, ai gambali, agli speroni; il che lo rende ancora passibile di confronti ai fini della sua, quanto meno plausibile, datazione.
In realtà il mistero è proprio questo: lo stemma pare essere quello della famiglia Pasi, ma si tratta di uno stemma più volte documentato a Faenza e già oggetto di dispute.
Federico Argnani alla fine del secolo scorso aveva riferito uno stemma similare, dipinto su di un boccale faentino in maiolica, ad un Giacomo Pasi che sarebbe stato vescovo di Faenza tra il 1258 ed il 1273, tenendo anche conto delle notevoli somiglianze con lo stemma di cui si fregiavano i Pasi nel Cinquecento. Gaetano Ballardini confutò tale ipotesi dimostrando, con precisa documentazione, l’inesistenza di un vescovo Pasi in città nel XIII° secolo, notando inoltre che nello stemma della famiglia Pasi il capo era ornato con i gigli di Francia ed attribuendo poi lo stemma dipinto sul boccale, anche per il fatto che era sormontato da un cappello cardinalizio, al Cardinale Egidio Albornoz, legato pontificio presente a Faenza nel 1359. A complicare l’identificazione del nostro milite, c’è la quasi completa illeggibilità della scritta che può essere trascritta come “dodici novembre 1280” oppure “dodici novembre 1380”, ma anche “1320”. La prima è la meno probabile visto che la costruzione della Chiesa dei Servi cominciò nel 1313, ma assegnare per buono il 1320 ad un Pasi risulta più difficile in quanto la famiglia assunse solo nel Cinquecento un ruolo importante nella vita cittadina, con la presenza anche di un vescovo agli inizi del Cinquecento. Peraltro le caratteristiche militari dell’armatura la collocano innegabilmente nella seconda metà del trecento: le catene d’arma sono una datazione inoppugnabile. A complicare ulteriormente l’identificazione, l’epigrafe, anche se frammentata, lascia leggere parole quali “la constatazione o la speranza di essere salvato nell’abito santo e l’auspicio che ogni sua impresa gli valga la possibilità alla corte santa”; formula decisamente anomala rispetto alle formule più ricorrenti che indicano il casato, qualche impresa e la richiesta che l’anima riposi in pace. Non è quindi del tutto da escludere la eventualità che il Nostro sia appartenuto più ad una milizia religiosa che non cittadina.
Ad oggi la datazione ritenuta più probabile è il 1320 in quanto si tende ad assegnare alla stessa bottega artigiana (quella di Arriguzzo Trevisano) la realizzazione della lastra, affiancandola a quella perfettamente identificata, di Filippo Desideri 1315 (ora al Museo Civico di Bologna).
Il mio pensiero di appassionato di storia militare e di uniformologia, mi porta a formulare una diversa ipotesi, pur senza voler, con questo, contestare gli studiosi di Storia dell’Arte ai quali anzi chiedo un confronto sulla mia ipotesi.
Volendo procedere alla riproduzione tridimensionale del Nostro Cavaliere, si pone il problema della sua colorazione araldica.
Ho fatto la scelta di collocarlo nell’ambito della Famiglia Pasi secondo questa ipotesi: la lastra tombale può essere stata realizzata in anni in cui la famiglia Pasi poteva permettersi tale spesa, marcando chiaramente, tramite lo scudo, l’appartenenza ad essa della figura del defunto, è plausibile che si trattasse di un “milite appartenente ad una congregazione religiosa” forse vissuto nel trecento, magari, e quindi vestito con le armi dell’epoca, ma, e questa è l’ipotesi più originale, è anche plausibile che in realtà la figura sia stata vestita con le armi dell’epoca, ovvero che il defunto fosse comunque del XV° secolo. Ovvero, se diamo per assodato che solo nel XV° secolo la Famiglia Pasi avesse il denaro sufficiente per permettersi una così ricca sepoltura, è possibile che abbia voluto ricordare un famigliare di tale epoca, ma anche di un’epoca precedente, per raccontarne i meriti e marcare il fasto di cui si potevano permettere.
Se questo corrispondesse a verità è molto probabile che i pezzi dell’armatura siano quelli che effettivamente erano esistenti nell’epoca nella quale è stata realizzata la lastra tombale: ciò verrebbe a sancire, una volta di più, che le disponibilità delle armature, soprattutto in periferia, continuava a mantenersi a lungo anche quando nei centri di produzione erano apparse nuove armi ed armature.  Un po’ come dire che la moda e la tecnologia degli armaioli stentava a diffondersi capillarmente, frenata ovviamente dagli alti costi. In sostanza è pensabile che il Nostro fosse vestito come un trecentesco (XIV° secolo) pur raffigurando un personaggio del quattrocento (XV° secolo), ma al contempo è più che plausibile che fosse un uomo del quattrocento vestito con le effettive armi disponibili in tale periodo in città, tutto sommato periferiche come la nostra, rispetto ai grandi centri di produzione d’armi del milanese.
Questa è l’ipotesi che il sottoscritto ha formulato, ovviamente pronto a rivederla se la corretta identificazione della lastra tombale e soprattutto la datazione artistica della stessa potrà essere, con ulteriori studi, indubitamente stabilita.

Conferenza: FAENZA NELL’ETÀ COMUNALE: LE RADICI DEL NIBALLO

Le origini storiche della città e del nome Niballo, lo sviluppo nell’età comunale, la nascita dei Rioni, l’organizzazione militare, le guerre, l’uso sociale dei palii e delle giostre; la Signoria Manfrediana dal 1313 al 1501
Le origini della Città
Cito testualmente il “Messeri – Calzi”: Intorno all’origine di Faenza varie sono le opinioni e molta l’oscurità, il Tolosano dice che la città fu fondata circa il 20 a.C., al tempo d’Augusto, da un tal Flavio romano, che le impose il nome di Flavia, ma altri scrittori prima e dopo Augusto sostengono un’origine ben più antica della città. Lo Zuccoli, cronista del XVII secolo gli Attici sbarcati sul litorale, fondata Navenna (poi Ravenna) nel 1199 a. C. si spinsero nell’entroterra lungo il fiume Amone (detto Lamone) e fondarono Phaentia o città splendente.
Quando arrivarono gli Etruschi pare che le cambiassero nome in Faventia ma poi vi furono diverse dominazioni galliche fino alla loro sconfitta nel 225 a.C. da L. Emilio a Talamone. Faenza è comunque ricordata da Silio Italico (Punica, lib. VIII) per la sua fedeltà a Roma durante le guerre contro Annibale.
LA FAENZA COMUNALE
Tra la fine del sec. XI e nella prima metà del XII matura, tra lotte faticose, difficili e spesso oscure, la grande rivoluzione che trasforma la città da feudo in comune; e l’autonomia comunale non ha, in genere, inizialmente un vero e proprio carattere democratico, bensì è opera, non di rado, delle fazioni dei nobili stessi, le quali, lottando contro il conte o signore feudale, e spesso anche tra di loro, fondano il primo nucleo aristocratico di quel governo cittadino che rompe la catena della gerarchia feudale e che poi sarà lentamente conquistato dalla “democrazia” borghese. Di tale rivoluzione non parlano ufficialmente i cronisti dell’epoca, forse non riconoscendola, eppure sotto la scorsa esteriore e spesso favolistica dei racconti, delle storie di rivalità e guerre con Ravenna (il cui Vescovo era l’alto signore del contado faentino) le lotte con i castelli vicini, le fazioni e le discordie intestine tra nobili e nobili o fra nobili e popolo, non è difficile scorgere gli indizi di quel gran mutamento sociale e politico. Faenza fu una delle prime città italiane che si costituirono a Comune, infatti :
1037                        la definizione di “comune” appare negli Annales
1080                        l’aiuto del Conte di Vitry ai Faentini contro i Ravennati
1124-1141              Faenza combatte otto guerre contro i suoi vicini cercando di guadagnarsi un proprio spazio
1138                       la più grave contro i Ravennati (alleati di Imola) presso il Rio Sanguinario vicino a Castel Bolognese
L’XI secolo è comunque un periodo di transizione per Faenza che si vede più volte minacciata nella sua esistenza dai nemici che la circondano: Bologna e Ravenna, tanto più forti di lei. E’ solo dal principio del XI secolo che si fanno più evidenti i segni di una azione sempre più indipendente della città e della trasformazione della sua vita politica e sociale interna. I cronisti e gli storici di questi anni narrano soprattutto le vicende esterne della città: dalle quali risulta lo svolgersi di una vita comunale in mezzo a continue lotte, imprese e saccheggi.
 In questo primo periodo di vita comunale, il principale nemico dei faentini fu Ravenna, per cui Faenza si alleò frequentemente con Bologna, senza disdegnare di intromettersi in una lite tra Bologna e Modena né di cercare amici fino a Cesena.
1141                       istituita la magistratura dei “Consoli”
Il 1141 è un anno importante per la città poiché in quell’anno si istituì la magistratura dei “Consoli”: Teodorico di Pennone, Meliorato Malabusse, Pietro di Gherardo della Casa. Tale istituzione di governo, che aprì la strada alla successiva introduzione della figura del “Podestà” consentì di controllare le lotte interne tra le fazioni cittadine e avviò il periodo economicamente e militarmente più forte della Faenza comunale.
1155                       istituita la figura del “Podestà”
1141-1178              16 guerre contro castelli e comuni vicini, in questo periodo Faenza parteggia per Federico I “Barbarossa” (vedi frammento)
1178                       fa parte della Lega Lombarda (1176 Battaglia di Legnano)
Nel 1183 il Comune faentino è compreso tra i confederati che firmarono la pace di Costanza.
1189                       200 Faentini partirono per la terza crociata
Nel 1189, duecento faentini partirono, con il vescovo Giovanni, alla volta della Terra Santa per partecipare alla terza crociata.
1218                       “comunanza delle genti d’arme”
E’ del 1218 la “comunanza di gente d’arme” cioè la costituzione delle compagnie d’armi delle quali è frequente l’uso nella vita varia ed inquieta dei comuni italiani: tali Compagnie erano costituite allo scopo di assistenza e reciproca difesa tra i cittadini di una stessa classe; è un’importante passo della “democrazia borghese” che inizia in questo modo a partecipare al governo, dividendo gli uffici pubblici con i nobili.
1226                       Faenza aderisce alla seconda Lega Lombarda ed invia 50 Cavalieri che combatteranno a Cortenuova (1237 vinta dagli imperiali di Federico II)
1240-1241              Faenza, fedele alla Lega fu assediata dall’Imperatore (indipendenza svizzera)
Scomparsa la minaccia imperiale dopo l’assedio del 1240/1241, si riaccesero in città le lotte intestine tra i Guelfi ed i Ghibellini, che spingeranno rapidamente la città verso la “Signoria”.
 dal 1248                  lotte intestine tra guelfi e ghibellini (Accarisi e Manfredi)
La parte guelfa era capitanata dalla famiglia Manfredi, quella ghibellina dagli Accarisi; è poi di questi anni l’istituzione della nuova magistratura del “Capitano del Popolo” che rappresenta gli interessi delle classi popolari. L’unico periodo di pace interna (1253-1255), fu ottenuta da Ugolino di Albertino de’ Fantolini da Cerfugnano, ricordato da Dante Alighieri nel Purgatorio, che riuscì a pacificare Manfredi ed Accarisi. Ma dal 1256 le discordie interne ripresero senza tregua ttraverso lotte aperte, tradimenti e assassini come quello di Manfredo Manfredi tramandato da Dante: “…le frutta del mal orto…” o con episodi d’onore quale quello di Rinieri Calcoli descritto da Dante nel PURG.XIV. La struttura di governo democratico del Comune era irrimediabilmente avviata alla degenerazione, il passaggio tra il Comune e la Signoria non è naturalmente immediato, anzi avviene attraverso un vero e proprio periodo di transizione nel quale la nuova forma di governo si disegna lentamente, la figura del Podestà, per consolidarsi via via ed infine affermarsi –nel 1313- con la presa di potere da parte dei Manfredi.
LA SIGNORIA MANFREDIANA 1313 – 1501
In Romagna ed ai suoi confini soltanto i Malatesti di Rimini e i Montefeltro ad Urbino, raggiungono un potere superiore, grazie ad alcuni loro esponenti che, come capitani generali, presiedono a grandi leghe di eserciti, mentre i Manfredi usano sì la Condotta come mestiere per rimpinguare le sempre esauste finanze e per farsi un nome, ma non giungono mai al credito di un Carlo o di un Pandolfo Malatesti, o di un Federico da Montefeltro. Si può dividere in due parti il cammino storico della Signoria manfrediana per effetto di un mutamento istituzionale che caratterizza il secondo periodo, staccandolo nettamente dal primo.
Il primo periodo va da Francesco I Manfredi ad Astorgio I (1313 – 1404)
Francesco usurpa il potere comunale assumendo il titolo di Defensor populi, già Maghinardo Pagani nel 1290 aveva assunto un titolo consimile (Defensor Civitatis, a giustificazione della sua usurpazione di potere), ma non in odio ai nobili come ora Francesco che s’appoggia al popolo; in questa fase infatti i Manfredi ricoprono la carica di Capitano del Popolo;.
La Signoria in questo tempo è assai precaria: conosce vuoti di potere quando la città è ripresa dai legati papali per un governo diretto.
Per due volte in questo periodo troviamo il Signore scomunicato e sotto interdetto la città.
La prima volta con Francesco I, la seconda con suo nipote Giovanni. Nel 1317 Francesco I edifica il Castello di Granarolo.
Tra il 1333 e il 1338 il Papato fatica a tenere sotto controllo, in obbedienza, i signorotti romagnoli.  Nel 1358 fu distrutta la Compagnia del Conte Lando al passo delle “Scalette” tra Biforco e Belforte (Modigliana). 1376 Faenza fu saccheggiata dal terribile John Hawkwood, detto Giovanni Acuto (o più semplicemente l’Acuto), ma andò peggio ai Cesenati l’anno successivo.
1378 è Astorgio I che assume ufficialmente il titolo di “magnifico signore” (dominus) ed anche di Capitano generale; Astorgio batte moneta con la propria insegna ed il suo nome; ottiene inoltre il titolo di “Vicario di Faenza per la Santa Sede”
Con 4000 fanti e 600 uomini d’arme formò la Compagnia della Stella. Nel 1390 Astorgio è al campo bolognese contro i Visconti con 70 lance e 400 fanti. La sua fine è drammatica, gli viene mozzato il capo in piazza, reo di tradimento alla Chiesa.
Tra il 1404 e il 1410 c’è un periodo di confusione perché Gian Galeazzo Manfredi (figlio di Astorgio) cede per mezzo di Paolo Orsini, Capitano Generale delle Milizie ecclesiastiche, la città di Faenza alla Chiesa per 10 anni in cambio di 200 fiorini d’oro al mese e l’assoluzione da tutti i peccati, presenti, passati e futuri, per sé e per tutti i propri seguaci ed amici.
 Il secondo periodo va da Gian Galeazzo ad Astrogio III (1410 – 1501)
Il mutamento che divide il secondo periodo dal primo consiste nell’elevazione a contea della parte di Val di Lamone da Quartolo a San Cassiano rimasta alla città, con Brisighella al centro e l’investitura ereditaria di essa, con tutti i previlegi feudali connessi, ai Manfredi che restano vicari solo per Faenza. Nel 1410 Gian Galeazzo riprende il potere ottenendo il titolo di Vicario per la Santa Sede in Faenza ed il titolo di Conte della Valle d’Amone. Galeazzo affida l’incarico a quattro giuristi di stendere gli Statuta Faventiae che verranno poi chiamati “gli statuti vecchi” rispetto ai nuovi del 1527, ma questo perché andarono perduti quelli di epoca precedente. Interessante la suddivisione delle classi di lavoratori ed imprenditori ed i divieti severissimi ai “magnati”. Astorgio II, uno dei quattro figli di G.G., è colui che godrà più a lungo della Signoria al suo massimo splendore, inizia con lui il periodo 1454 –1494 vigilato per un decennio dalle due teste politiche maggiori del tempo, Francesco Sforza e Cosimo Medici, culminando con la figura di Lorenzo il Magnifico, ago della bilancia tra gli Stati italiani, con segni di una prosperità ed uno splendore artistico e culturale mai visto, ammiratissimo da tutta Europa nelle nostre città di maggior grido: Firenze, Roma, Milano, Napoli, Venezia, Ferrara, Mantova, Bologna, ognuna con il suo particolare aspetto umanistico e rinascimentale.
1482 Guerra di Ferrara, partecipa Galeotto Manfredi. Sono gli anni del rinnovamento edilizio di Faenza (Carlo II completa le mura avviate da Astorgio I). Galeotto, preso il potere nel 1477, sposerà Francesca Bentivoglio di Bologna, e verrà da quest’ultima ucciso nel 1488.