Da QUARTO a MARSALA
La notte dal 5 al 6 maggio 1860: la fatidica notte d’Italia. Notte fredda, calma, serena. La luna segna sul mare una lunga traccia luminosa e non attenua nel cielo lo splendore delle stelle che sembrano infondere fede e speranza.
Grande folla di popolo ai margini della strada che porta allo scoglio di Quarto, da dove si imbarca Garibaldi con pochi fedelissimi. Lunga è l’attesa dei piroscafi, che si attendono da Genova sotto la guida di Nino Bixio.
Solo sul far del giorno appaiono all’orizzonte, quando le navi partono sul far del giorno Garibaldi sul Piemonte e Bixio sul Lombardo i volontari sono quasi senza munizioni, infatti i barconi che le portavano sono stati involati da un contrabbandiere, certo Profumo; furono recuperate più tardi ed inviate successivamente in Sicilia con la spedizione Agnetta. La cassa della spedizione conteneva 90.000 lire (ne erano state spese fino ad allora 231.870).
Le navi non furono “cedute” dall’armatore Rubattino, ma dal suo direttore e procuratore Fauché che venne prontamente destituito dall’Armatore per quel gesto.
QUANTI SONO I VOLONTARI?
1089 secondo l’elenco riveduto e corretto nel 1878 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale: di cui 1044 italiani, 33 esteri e 12 di origine ignota, vi era anche una donna, Rosalia Montmasson, savoiarda, moglie di Crispi.
Provenivano dal milanese (350), da Genova (160), Bergamo, Brescia e Pavia, vi erano 42 Siciliani.
Prevalevano gli uomini di studio: 150 circa gli avvocati, 100 medici, 100 commercianti, 50 ingegneri, 20 farmacisti, 50 capitani marittimi, 10 pittori e scultori, parecchi scrittori e professori di scienze e lettere, 3 ex preti, alcuni seminaristi, operai e nessun contadino.
Al mattino del 7 le navi giungono a Talamone. Garibaldi in divisa da Generale piemontese si presenta al sottotenente De Labar comandante del porto per ottenere armi e munizioni, altre ne ottiene il Turr che si reca a Orbetello comandato dal Ten. Col Giorgini, questi due comandanti piemontesi verranno entrambi posti sotto processo, ma il Tribunale sentenziò il “non luogo a procedere”.
Il giorno seguente le navi ripartirono con il Col. Zambianchi e 64 uomini diretti al confine pontificio.
A MARSALA
All’alba del giorno 11 i due vapori arrivano in vista di Marsala dove vengono viste all’ancora due navi, ma i pescatori comunicano che si tratta di navi inglesi; da quel porto la sera precedente erano partite 4 navi borboniche (una Divisione navale), la sosta a Talamone ha evitato l’incontro con la flotta nemica.
Il Piemonte si ancorò tra i due bastimenti inglesi, il Lombardo invece, non trovando fondo sufficiente, andò in secca all’entrata del porto. L’arrivo dello Stromboli, di ritorno da Sciacca non influisce sullo sbarco: per iniziale rispetto di possibili equipaggi inglesi.
A SALEMI – CALATAFIMI
Il mattino del 12 i volontari muovono verso nord, in direzione di Salemi che dista una quarantina di chilometri da Marsala: caldo soffocante, salite e discese lungo una semplice mulattiera.
Nel frattempo a Napoli, appreso dello sbarco il Governo borbonico invia ai suoi rappresentanti all’estero un telegramma furente con il quale condanna: “L’atto di selvaggia pirateria commesso da un’orda di briganti, pubblicamente organizzati in uno stato non nemico”.
Durante la marcia grazie a La Masa e Nicolosi, giungono squadre di volontari, un sacerdote Gaspare Salvo, offre in dono a Garibaldi due vecchi cannoni di bronzo, sotterrati dopo le rivolte del 1849.
A Palermo grande agitazione e richiesta di ulteriori rinforzi: ricordiamo che il Castelcicala, delegato a governatore dell’isola, cui erano già affidati 21.000 uomini e 64 pezzi di artiglieria, riunisce le sue truppe a Palermo ad esclusione della colonna del generale Landi il quale già dal giorno 9 era giunto ad Alcamo con l’8° Btg Cacciatori, un Battaglione del 10° di Linea, il Btg. Carabinieri ed uno Squadrone di Cacciatori a cavallo con una batteria da montagna, in totale 2.700 uomini e 4 pezzi di artiglieria.
Landi aveva già avanzato verso Salemi dove gli risultava la presenza dei volontari, ma ricevuto l’ordine di rientrare a Palermo, decise di fermarsi sulle alture di Calatafimi.
E fu battaglia, aspra, violenta e con tanti morti e feriti, non certo quella facile vittoria che i libri di scuola ci hanno tramandato! Colpiti il maggiore Elia al fianco di Garibaldi, mentre intorno a lui cadevano morti o feriti Montanari, Schiaffino, Nullo, Giorgio Manin, Sirtori, Stocco, Missori, Maiocchi, Menotti e altri.
Dopo l'ennesimo assalto alla baionetta dei garibaldini, i borbonici suonano la ritirata: sono convinti di aver vinto hanno infatti catturato la bandiera ed ucciso quello che a loro sembra il capo dei "banditi", ma prima hanno combattuto fino ad esaurire le munizioni: 127 (quasi 12%) i fuori combattimento (32 morti) per i garibaldini, 111 per i borbonici, tra i caduti l’Alfiere Schiaffino (perdita della bandiera di Valparaiso) ed il Montanari ( Difesa di Roma del 1849 e Anita).
AVVICINAMENTO e BATTAGLIA per PALERMO
Difesa da più di 20.000 borbonici, artiglierie, fortezze con depositi inesauribili di munizioni e, sul mare, da una forte squadra navale. Il Generale Lanza, sostituto del Castelcicala sceglie di attaccare Monreale difesa da Rosolino Pilo. Garibaldi si sgancia da Piana dei Greci dalle soverchianti forze del Mekel. Cade il valoroso Carlo Mosto.
Con queste ritirate Garibaldi convince il nemico di aver rinunciato ad entrare in Palermo, dirige infatti – apparentemente verso Corleone – tanto che il Mekel, che insegue Garibaldi, comunica al Lanza di star tranquillo in Palermo che sta per assestargli il colpo di grazia, in realtà insegue appena 150 uomini dell’Orsini.
Nella notte tra il 26 ed il 27 maggio Garibaldi con circa 3500 uomini di cui appena 750 dei Mille di Quarto, entra da Porta Termini in Palermo; ancora a mezzogiorno del 26 il Lanza ha telegrafato a Napoli “La banda di Garibaldi, in rotta, si ritira disordinatamente su Corleone. Egli è incalzato.”
Che Palermo non sarà una passeggiata Garibaldi lo capisce al momento dell’ingresso dove è fortemente contrastato e lancia all’attacco tutto ciò che ha a disposizione: cadono feriti Benedetto Cairoli, Canzio, Tukory, e lo stesso Bixio. Ne seguono tre giorni di lotta serrata, di rivolta della popolazione, il 30 maggio giunge notizia che le truppe del Mekel, rientrano verso Palermo e si dirige proprio sulla stessa Porta da cui è entrato Garibaldi, ma è sorpreso dalla notizia del tutto inattesa di un armistizio concluso qualche ora prima fra il Lanza e Garibaldi dal quale non è estraneo l’Ammiraglio inglese Mundy. La sera del 30 Lanza convoca un Consiglio di guerra per riprendere le ostilità, ma poche ore prima del termine delle ostilità arriva il Colonnello Bonopane, Sottocapo di Stato Maggiore con una proposta del Re di proporre a Garibaldi una proroga di tre giorni dell’armistizio di 24 ore. Francesco II nella speranza che dando una prova di umanità e di saggezza politica, avrebbe ottenuto il favore della Francia e dell’Inghilterra per conservare la corona di Napoli e forse per recuperare con trattative diplomatiche, la corona di Sicilia, dopo ulteriore proroga dell’armistizio al 6 giugno, autorizzò la capitolazione. I Mille non avevano più che 390 fucili ed erano quasi senza cartucce.
20.000 uomini dell’esercito regio uscirono dalla città, avevano perduto 4 ufficiali e 205 militari di truppa, i feriti furono 33 ufficiali e 529 militari di truppa (poco meno del 5%), occorsero 12 giorni per il loro esodo completo da Palermo.
L’APPOGGIO di CAVOUR
Già il 19 giugno sbarcava a Castellamare del Golfo la spedizione Medici (2700 volontari con 8000 carabine rigate e 400.000 cartucce) ai primi di luglio a Palermo la spedizione Corte (900 uomini), il 5 luglio la colonna Agnetta con 556 uomini e circa 1000 fucili, il 7 arriva Cosenz con 2500 uomini, 4000 fucili e varie munizioni, poi giungono Sacchi, Dunn e Fabrizi.
LA CONQUISTA DELLA SICILIA
Il comando delle truppe regie rimaste in Sicilia viene assunto il 10 luglio dal generale Clary, che resta a Messina e dispone di un presidio a Milazzo di 1400 uomini a cui ne invia a metà mese altri 3000 al comando del col. Bosco con l’ordine di difendersi, “non assalire”. Contrariamente agli ordini ricevuti il Bosco attacca la mattina del 17 la colonna del Medici forte di ca. 2700 uomini: gravi perdite da ambo le parti; sosta il 18 e arrivo di rinforzi garibaldini, il 19 giunge Garibaldi che saputo del possibile arrivo di rinforzi da Messina decide di attaccare subito: il combattimento è feroce e Garibaldi lo sblocca riuscendo a salire a bordo del Tukory (nave piemontese ex Veloce il cui comandante passò con Garibaldi il 10 luglio) e facendo entrare in azione i suoi 10 cannoni per appoggiare l’azione di terra, il Bosco si ritira nel forte di Milazzo. I garibaldini hanno fuori combattimento almeno 750 uomini. Il 23 giungono 4 navi regie con un plenipotenziario incaricato di trattare la capitolazione: le truppe usciranno dal forte con l’onore delle armi; ai regi resterà la sola cittadella di Messina che si arrenderà solo il 12 marzo 1861. Ma ai liberatori ora è aperta la via verso il continente, ma per passare lo stretto occorreva fare i conti con la flotta borbonica e con un esercito (in Calabria) di circa 20.000 uomini.
Benchè il controllo dello stretto non fosse poi rigidissimo, molti ufficiali di marina simpatizzavano con le idee liberali, andarono comunque perse due navi: il Franklin incendiato ed il Torino subisce gravi danni, ma la forte avanguardia può attaccare Reggio che dopo debole difesa si arrende.
Dopo la resa di Reggio gli avvenimenti precipitano: nella notte dal 21 al 22 duro combattimento nel quale cade il valoroso De Flotte che comandava una compagnia di volontari esteri; il generale Vial, comandante in capo delle forze napoletane in Calabria, senza gli ordini dalla capitale e mal coadiuvato dai suoi, subisce passivamente gli eventi, in questa situazione fu ucciso il generale Briganti, altri reparti borbonici furono catturati o si dispersero senza combattere. In breve la rivolta divampò precedendo spesso l’avanzata dei garibaldini: ovunque veniva innalzato il tricolore, deposte le autorità regie, affidata la “cosa pubblica” a patrioti del luogo.
A Soveria (vicino a Cosenza) vi fu l’ultimo combattimento il 30 agosto, di fatto i garibaldini agli ordini del Barone Stocco bloccarono la via di ritirata dei circa 10000 uomini del generale Ghio, che finirono per arrendersi.
COSA ACCADEVA INTANTO A NAPOLI?
Benchè fin da metà agosto fosse stato proclamato lo stato d’assedio, i patrioti agivano più o meno nascostamente, e vi erano anche emissari del Cavour che cercavano di suscitare disordini in Napoli per togliere ai volontari il merito esclusivo della conquista. Le cancellerie estere si erano ormai persuase che il Piemonte avrebbe impedito ogni violazione alla libertà del Capo della Chiesa, e quindi Francesco II restò solo, e continuava ad esitare a prendere qualsiasi determinazione. Sul finire di agosto si era recato fra le sue truppe (quasi 40000 uomini per la maggior parte stranieri) per mettersi alla sua testa, ma le notizie dell’avanzata garibaldina ed il timore di ulteriori defezioni lo spinse ad ordinare al generale Ritucci di ritirare ciò che restava dell’esercito a nord del Volturno.
Solo l’11 i Regi lasciano gli ultimi forti napoletani, eseguendo gli ordini ricevuti per raggiungere il fronte sul quale attestarsi: sono tutt’altro che truppe allo sbando, soldati, ufficiali e sottufficiali rimasti fedeli a Francesco II dimostreranno il loro coraggio ed il loro valore sul Volturno e nella difesa di Gaeta, definita eroica anche da fonti non sospette di legittimismo, nella resistenza di Messina e di Civitella del Tronto. Poi il brigantaggio sarà l’ultima disperata sfida di chi non si rassegna alla resa.
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