Delle cose mortali nulla v'è di più incerto degli eventi guerreschi, nulla di più imprevedibile, nulla che esorbiti di più dai pensieri degli uomini. La vittoria non dipende nè dal numero nè dalle forze.

[Coluccio Salutati - cancelliere fiorentino del XV sec.]



giovedì 22 settembre 2011

Gli aerei degli Eroi dell'aviazione italiana nella guerra '15 - '18

Fulco Ruffo di Calabria nasce a Napoli 12 agosto 1884.
Scoppiato il primo conflitto mondiale si arruola volontario nel battaglione aviatori, e dopo aver frequentato il corso di Mirafiori e conseguito il brevetto, passa al pilotaggio in zona di guerra.
Dalle prime squadriglie di aviazione per artiglieria raggiunge, già due volte decorato al valore, la squadriglia da caccia di Francesco Baracca dal quale ne erediterà il comando.
Sopravvissuto alla Guerra rimane nell'esercito nei reparti di cavalleria.
Nel '25 lascia la vita militare per dedicarsi calla proria azienda agraria ed alla società italo belga per cui aveva già lavorato in Africa di cui diviene presidente. A lui si deve nel campo della scienza agraria la scoperta di una varietà di trifoglio gigante, nominato appunto trifoglio Ruffo. Nel '34 è nominato Senatore del Regno. Muore ai Ronchi nella sua casa in toscana il 23 agosto 1946.
Francesco Baracca (1888- 1918) fu il più grande aviatore italiano della prima guerra mondiale. Morì. colpito da terra, durante un'azione di mitragliamento sul Montello (12 giugno), ma con le sue 34 vittorie in duello aereo rimase l"« asso degli assi » della nostra aviazione.
Il 7 aprile 1916, abbatte il primo apparecchio nemico. Il suo ultimo velivolo fu il Bleriot-SPAD XIII , con il famoso emblema del « cavallino rampante ". Era armato di due mitragliatrici e raggiungeva i 240 chilometri all'ora

giovedì 15 settembre 2011

Diario di Campagna - Il racconto della più bella campagna di wargame che mi sia stato possibile giocare in questi ultimi quarant'anni.

8 Maggio 1859
Solo oggi, dopo più di una settimana da quando ho lasciato Susa, ho il tempo di scrivere.
Gli Austriaci hanno vigorosamente attaccato il Piemonte, ben poco è stato fatto per trattenerli o rallentarli, la loro rapidità di movimento è stata tale da sorprendere i Piemontesi; lo stesso Garibaldi, che aveva effettuato un movimento in avanti per cercare di forzare a nord di Varese è stato intercettato da soverchianti forze nemiche ed è stato costretto a ritirarsi, con gravi perdite dietro la copertura di Cialdini.
Il peggio però doveva ancora venire in quanto un successivo tentativo di forzare l’ala destra austriaca è stato tragicamente intercettato, provocando gravissime perdite ed addirittura il rischio di cattura di Garibaldi che, per la prima volta, non è stato in grado di sganciarsi subito dal nemico, ma è stato da questo ferocemente inseguito.
La Divisione Cacciatori delle Alpi è stata duramente provata ed il morale e la fiducia nell’Eroe si è incrinata.
Il Comando Piemontese ha ritenuto opportuno ordinare a Garibaldi di ritirarsi nelle retrovie ed andare incontro al Reggimento dei Cacciatori degli Appennini, da poco costituito e nel contempo raccogliere i nuovi volontari che per fortuna continuano ad affluire riempiendo i suoi ranghi.
12 Maggio
I movimenti degli ultimi quattro giorni hanno portato molta eccitazione nelle file franco piemontesi.
L’afflusso delle truppe francesi è proseguito regolare, ma l’austriaco nella sua foga offensiva ha tentato di forzare a Voghera, dove erano appena giunte le avanguardie di Mac Mahon e stazionava la Divisione Mollard, fortunatamente le difficoltà logistiche hanno impedito all’austriaco di completare la propria azione offensiva che lo avrebbe visto numericamente superiore in quel settore.
A nord l’azione in profondità del Corpo d’Armata Stadion, all’inseguimento di Garibaldi ha creato una opportunità che è stata colta dal Gen.le Canrobert: una sola Divisione austriaca presidiava il Mincio al Ponte di Turbigo ed egli, chiamando a raccolta le truppe di D’Hilliers decideva di tentare il forzamento del Mincio.
Dopo un frenetico scambio di messaggi tra i due comandanti di corpo, si decideva per tentare, ma alcune difficoltà logistiche impedivano a tutte le truppe di D’Hilliers di partecipare all’azione, solo la Divisione Bazaine vi partecipava.
La valutazione strategica dei generali francesi, benché consci dei gravi rischi insiti nel tentare una forzatura di così grave entità con ancora troppe truppe non operative, convinceva dell’opportunità di tentare e di correre i rischi conseguenti.
Qualora si riuscisse a forzare il passaggio del Mincio starebbe all’austriaco contrattaccare, ma per farlo dovrebbe probabilmente sguarnire almeno un altro passaggio sul fiume ed il centro, all’altezza di Mortara, è presidiato da 3 Divisioni Piemontesi con il Re presente, inoltre Stadion che ancora si trova in parte in territorio piemontese, potrebbe non essere in condizione di intervenire sull’azione di sfondamento. 
VITTORIA !
Canrobert ha passato il Mincio: al termine di una giornata di feroci combattimenti, con gravissime perdite subite in gran parte dalla Divisione Bazaine, il 12 Maggio i Francesi hanno forzato il ponte ed ora occupano Turbigo.
L’eroico comandante alla testa dei suoi uomini è stato ferito durante una furibonda mischia ed è caduto in mano nemiche.
L’Imperatore, appena sbarcato a Genova, ha firmato il decreto di nomina del Generale Canrobert a Duca di Turbigo; medaglie al valore sono state distribuite sul campo ai provatissimi superstiti del 1° Reggimento Zuavi, agli ufficiali superstiti è stata concessa la Legion d’honneur.
Ora si attende, fiduciosi della importante posizione conquistata, la reazione austriaca, ma la via di Milano potrebbe essere aperta ed il destino del corpo di Stadion potrebbe essere segnato, purtroppo troppe truppe francesi si trovano ancora in fase di avvicinamento.
14 - 16 maggio
Lo svolgersi degli eventi ha subito una battuta d’arresto: l’austriaco è riuscito a raccogliere truppe attorno al ponte di Turbigo ed ha chiuso in un cerchio di ferro le forze del Generale Canrobert, non ancora sufficientemente sostenute dai generali Niel e D’Hilliers che avevano ancora diverse unità in marcia.
Vittorio Emanuele vicinissimo al fulcro delle decisioni, si trovava a Novara, ma poco prima da Trecate aveva visto saltare i ponti di Magenta, ha deciso di mantenere la calma e raccogliere prima le sue forze in attesa anche dell’Imperatore per potersi adeguatamente consigliare sul da farsi.
L’Austriaco, la cui mossa è stata svelata dalla cavalleria francese che copriva il fianco nord dello schieramento alleato nella zona di Turbigo, ha sorprendentemente lasciato a guardia del passaggio (guado) di Sesto calende una sola Brigata (Bills) del Corpo di Stadion, spostando il resto del corpo a sud attorno a Turbigo; le posizioni degli altri corpi austriaci restavano sostanzialmente invariate a guardia dei passaggi sul Ticino.
Giungeva poi notizia che il Generale Benedeck ha messo a ferro e fuoco Voghera, distruggendo il deposito militare e saccheggiando la città, colonne di profughi sono state accolte dalle truppe di Mac Mahon, il Generale ha faticato non poco a calmare i cittadini che chiedevano a gran voce il suo intervento contro le retroguardie del Generale Lang attardatesi nelle ultime distruzioni.
Il Generale non è però riuscito ad attivare in tempo le sue unità lasciate un po' troppo sparse, provocando il disappunto dell’Imperatore che ha considerato occasione sprecata il non aver colpito i reparti austriaci rimasti isolati dal grosso del corpo d’armata che è poi regolarmente arretrato a copertura di Pavia.
Vittorio Emanuele conscio dell’opportunità offerta dall’Austriaco con la debole difesa del passaggio di Sesto Calende si è assunto la responsabilità di spostare i Generali Fanti e Cialdini, per ferrovia, da Trecate a Varallo, predisponendosi quindi ad una azione aggirante sulla sinistra alleata con lo scopo di minacciare da nord Milano, in pratica l’azione inizialmente prevista per il Generale Garibaldi.
18 maggio
Finalmente l’Imperatore Napoleone III giungeva a Novara ed immediatamente a colloquio con il Re italiano, concordava approvando in pieno il piano dello sviluppo a nord dell’azione; pertanto venivano diramati gli ordini affinché tutti i reparti piemontesi –a mezzo ferrovia- si muovessero immediatamente verso Varallo, anche il Generale G.Garibaldi veniva richiamato e saliva in treno a Casale Monferrato.
A questo punto scattava l’attacco a Sesto Calende e la Brigata Bils riteneva più opportuno evitare lo scontro diretto lasciando quindi la posizione arretrando per unirsi all corpo di Stadion immediatamente inviato al nord da Giulay, che si trovava a Magenta,.
Il forzamento del passaggio sul Ticino aveva uno sviluppo strano in quanto la Divisione Stenberg lasciava il corpo di Stadion per allontanarsi lungo la via che porta a Varese .
La divisione delle forze austriache incitava all’attacco Vittorio Emanuele, giunto sul campo con la sua riserva di artiglieria.
20 maggio
Una importante notizia è venuta a portare sconcerto ma anche eccitazione nell’alto comando francese: reparti di ricognizione del Generale MacMahon che sta passando il Po' avvicinandosi a Mortara, hanno scoperto l’esistenza di un traghetto completamente sguarnito di ogni difesa.
Il passaggio si trova circa a metà strada tra Magenta e Pavia, poco più a nord del passaggio di Bereguardo: è un traghetto non servito da alcuna strada, probabilmente di uso limitato e quindi dimenticato.
L’Imperatore è stupito, non riesce a rendersi conto di come gli Austriaci possano aver compiuto una simile ingenuità, il passaggio infatti consente di dividere in due tronconi le truppe nemiche ed è pericolosamente vicino alle strade che collegano direttamente con Milano.
Pertanto ordina una manovra di copertura a MacMahon senza però accelerare i tempi in attesa dell’arrivo, al completo, della Guardia; a Saint Jean D’Angely ordina una finta su Tortona, con l’apparente scopo di rilevare MacMahon sul fianco sud, ma in realtà di salire sui treni e spostarsi velocemente a Mortara, dove, avanguardia MacMahon, procedere all’attacco tramite il traghetto suddetto.
A nord gli Italiani hanno portato a fondo l’attacco entrando in azione a Somma dove si è arroccato Stadion con la ferma determinazione di sfruttare le asperità del terreno a suo favore per logorare il nemico.
Napoleone è conscio che il nemico potrebbe da un momento all’altro abbandonare la linea del Mincio, infatti considera la distruzione dei ponti di Magenta come un’azione difensiva al fine di rallentare eventuali inseguitori; questa azione però ha facilitato lo spostamento dell’Esercito Italiano a nord, infatti i tre Generali francesi impegnati nel passaggio di Turbigo, non hanno dovuto preoccuparsi di un contrattacco sulla loro destra abbandonata dai Piemontesi.
E’ inoltre sicuro che -se gli Italiani sapranno sfondare a Somma- gli Austriaci avranno grandi difficoltà ad arretrare indenni: il piano strategico si fa strada nella mente dell’Imperatore che vede già la tenaglia (a nord Vittorio Emanuele, a sud MacMahon e la Guardia) chiudersi sulle retroguardie di Giulay; inoltre presto giungerà il V° Corpo che potrà essere lanciato su Piacenza.
L’Imperatore osserva a lungo la carta del Teatro d’operazioni e ritiene che gli Austriaci abbiano sottovalutato le possibilità offerte dagli schermi di cavalleria, ma soprattutto dalle ferrovie che consentono agli alleati di spostare truppe in tempi brevi lungo tutto l’arco del fronte, annullando il vantaggio austriaco di agire per linee interne, gravissimo è stato l’errore austriaco di non interrompere la ferrovia a Novara quando era in loro possesso preoccupandosi piuttosto di mandare Stadion a caccia di Garibaldi.
20 maggio
La battaglia di Somma è terminata con una splendida vittoria delle Divisioni piemontesi dei Generali: Fanti, Cialdini, Cucchiari e la cavalleria di Sambuy.
Malgrado le difficoltà del terreno e l’impossibilità di usare la supremazia della propria artiglieria, i fanti italiani, pieni di entusiasmo ed incuranti del fuoco nemico, si sono gettati all’attacco di Somma sviluppando un’azione sul fianco sinistro austriaco mentre la Divisione Cucchiari teneva il centro e la cavalleria distraeva artiglierie ed unità nemiche con una larga manovra aggirante.
L’Austriaco rischiava l’accerchiamento e la resa ignomignosa, solo il provvidenziale arrivo della Divisione di cavalleria del Gen.le Mensdorf permetteva di mantenere aperto un canale di ritirata ove le unità austriache si dirigevano uscendo comunque dalla battaglia in disordine e moralmente scosse.
Quasi duemila i prigionieri e ben 16 i cannoni catturati al nemico che perdeva gran parte delle sue artiglierie a nulla poteva il Fml. Stadion eroicamente portatosi in prima linea a sostenere i suoi.
Vittorio Emanuele perfettamente supportato dai suoi Generali coordinava lo svolgimento dell’azione, pur riconoscendo il valore del nemico ed in particolare di un Battaglione di Grenzer che resisteva eroicamente respingendo una carica di Bersaglieri e disperdendo gli stessi.
Proprio i Bersaglieri si sono splendidamente comportati, non mancando mai di far sentire il proprio fuoco sui fianchi ed alle spalle del nemico, agendo con audacia ed a sprezzo della propria vita.
Il Comando italiano non ha compreso le ragioni che hanno portato l’austriaco ad accettare battaglia e soprattutto a non tenere conto, nel proprio schieramento, delle esigenze strategiche che imponevano il possesso della strada in quanto unico passaggio, vista l’area prealpina in cui si è svolto lo scontro.
Ora il nemico è respinto oltre Gallarate e l’Esercito austriaco dovrà tenere conto dei pericoli che gravano sulle proprie linee di comunicazione con Milano.
La Divisione del Generale Durando è nel frattempo giunta in ferrovia a Varallo ed insieme a Garibaldi costituisce la riserva fresca a disposizione del Re.
Venuto a conoscenza della splendida vittoria italiana, l’Imperatore dopo aver telegrafato le sue congratulazioni al Re, ha riflettuto a lungo, in solitudine, per valutare il problema strategico che ora si pone all’Esercito francese:
·      continuare subito l’azione al nord e chiedere al Re di proseguire l’attacco oltre Gallarate,
·      attendere, riordinando le truppe, che l’azione al centro si sviluppi, ovvero che la Guardia si porti a Mortara e che Mac Mahon prenda posizione vicino al Po' per poi attaccare attraverso il traghetto abbandonato per tagliare in due, con azione a tenaglia il nemico.
22 maggio
L’azione austriaca ha ripreso vigore, conscio del pericolo sulla sua ala destra il F.M.L. Giulay ha mandato truppe a tenere Gallarate con un’azione di copertura su Varese che di fatto impedisse ai Piemontesi di dilagare, nel frattempo ha rafforzato il centro iniziando a raccogliere truppe dal settore di Pavia.
24 maggio
Vittorio Emanuele ha preferito la prudenza, arretrando di fronte alla mossa nemica, si è riportato in copertura sul passaggio di Sesto Calende, mentre l’Imperatore ha completato lo schieramento al centro disponendo i Genieri per la futura ricostruzione del ponte ferroviario di Magenta e completando la dislocazione delle truppe in attesa dell’arrivo della Guardia a Mortara, con MacMahon che ha posto le proprie truppe in posizione per il balzo oltre il Ticino.
Le forze austriache sono state arretrate Gallarate, Varese, Pavia sono state messe a sacco distruggendone i depositi, al centro il passaggio (guado) sul Ticino all’altezza di Vigevano è stato abbandonato per mantenere un fortissimo schieramento centrale in copertura di Milano, anche l’ala destra a nord è stata arretrata.
I Franco-Piemontesi sono perplessi e sospettano una trappola, l’abbandono del guado sembra fatto apposta per invogliarli all’attraversamento e quindi a subire un rapido contrattacco austriaco che potrebbe sfruttare la dispersione alleata conseguente al passaggio del fiume.
La zona sud, a Pavia è quasi completamente sguarnita e sono stati abbandonati anche i passaggi sul Po' a Stradella tanto che il 5° Corpo Francese potrebbe avere la strada libera fino a Piacenza.
Sorge anche un dubbio: gli Austriaci si rendono conto che nella posizione in cui sono non possono garantire la copertura delle proprie retrovie ?
Cosa succederà se la Cavalleria franco-piemontese dovesse essere lanciata alla conquista dei depositi?
Infine c’è la convinzione che gli Austriaci stiano predisponendo le mine nei ponti sull’Adda per costruirsi un secondo fronte.
28 maggio
E’ continuato per una settimana l’andirivieni di truppe austriache di fronte alla testa di ponte di Turbigo e a sud di Somma dietro a Gallarate.
Gli Austriaci hanno ricostruito il fronte richiamando truppe dal sud e abbandonando progressivamente la copertura dell’area a sud di Pavia.
L’afflusso delle truppe francesi ancora in attesa di schieramento non ha permesso lo sfruttamento della breccia creatasi al centro ove gli Austriaci non hanno presidiato il traghetto sul Po' a Cà Ghibullo, ma lo spostamento a nord del Corpo di Benedeck ha indirettamente portato alla copertura del passaggio.
Il raggruppamento delle forze francesi è proseguito, la Guardia si è portata al centro per sostenere l’azione offensiva dei tre Corpi di Niel, Canrobert, D’Hilliers, mantenendo il fianco sud coperto da Mac Mahon, inoltre il 5° Corpo sta iniziando il suo spiegamento e le prime truppe sono già alla stazione di Stradella.
30 maggio
Benché l’Austriaco goda di una buona protezione sul terreno, usufruendo della copertura del Canale Naviglio, l’occasione che si è presentata è troppo ghiotta per non essere tentata: l’Imperatore ha ordinato l’attacco al Corpo austriaco di Lichtestein con azione concentrica da parte della Guardia e dei Corpi di Niel e D’Hilliers con il sostegno dell’artiglieria di Corpo di Canrobert, nelle vicinanze di Abbiategrasso si compie quindi la prima azione d’attacco da parte degli alleati.
Il compito è arduo, ma la superiorità numerica ottenuta strategicamente non può essere sottovalutata e quindi si impone tentare.
In copertura di una possibile contromossa austriaca gli Italiani si sono portati più a sud avvicinandosi al ponte di Turbigo che è rimasto coperto da due Divisioni francesi ed una Brigata di cavalleria; l’Imperatore si è mantenuto al centro dello schieramento, davanti a Turbigo, in grado quindi di governare gli sviluppi futuri.
Se l’azione su Abbiategrasso sarà vincente lo schieramento austriaco ne risulterà spezzato in due tronconi: il Corpo di Benedeck sarà premuto da Mac Mahon e risentirà della posizione offensiva del 5° Corpo.
Possibili contrattacchi sull’ala nord dei Francesi potranno essere intercettati dagli Italiani e lo stesso centro francese potrà inviare rinforzi a copertura del passaggio di Turbigo. 
VITTORIA !
L’Austriaco è stato spazzato dalle sue posizioni dietro il Naviglio ad Abbiategrasso, il Corpo di Lichtenstein, a pezzi, si è precipitosamente ritirato, spinto dalla cavalleria francese, a sud di Milano.
Il M.llo Giulay impressionato dalla determinazione dell’attacco francese che ha visto in prima linea il Corpo della Guardia, ha rinunciato alla difesa ed ha bloccato l’azione di Schwarzemberg che aveva iniziato il movimento per correre in aiuto di Lichtestein.
A questo punto il fronte austriaco è spezzato e mentre Benedeck, più eventualmente i resti di Lichtestein potranno essere tenuti a bada -verso sud- da Mac Mahon e S.J.d’Angely, le altre forze: Schaffgotsche, Zobel, Schoenemberg, rischiano di essere chiuse a tenaglia tra l’incudine, costituito dall’Esercito Italiano e dal 3° Corpo di Canrobert, ed il martello costituito dai corpi di Niel e D’Hilliers.
L’Imperatore, consultatosi con il Re, ritiene che questa fase costituisca il momento critico per gli Austriaci che, se vorranno rettificare le loro linee per coprire Milano, rischieranno comunque di perdere qualcuno per strada e farselo stritolare; in alternativa possono compiere un passo folle attaccando o Vittorio Emanuele o lo stesso Imperatore che comanda quella parte del corpo di Canrobert in difesa di Turbigo, confidando che i rinforzi vicini non giungano in tempo.
E’ un atteggiamento offensivo rischiosissimo perché non prevede sbocchi strategici in quanto una eventuale vittoria austriaca, che ben difficilmente sarebbe devastante -sul piano strettamente militare- per gli alleati, porterebbe le forze austriache ancora più dentro lo schieramento alleato, ponendo le basi per un accerchiamento strategico, fino a portare alla conquista di Milano.
I Comandanti francesi con questa eclatante vittoria, conquistano ancora di più la fiducia delle proprie truppe e si preparano ad inseguire il nemico, qualora voglia rischierarsi, volando al suo inseguimento. 
E’ finita ? !
Un trafelato corriere che ha quasi ucciso il cavallo per giungere il più presto possibile allo stato maggiore dell’Imperatore è latore di una comunicazione riservata da parte del servizio di spionaggio francese che attraverso un agente infiltrato è riuscito ad ottenere precise informazioni provenienti dallo stesso stato maggiore del comando austriaco.
La notizia seppur non confermata, rimbalza immediatamente tra gli ufficiali presenti fino alle truppe: il M.llo Giulay, demoralizzato per la sconfitta subita ad Abbiategrasso sembra intenzionato a chiedere l’armistizio.
La posizione del suo esercito è certamente di grande pericolo, difficilmente sono percorribili ipotesi offensive che rischierebbero di compromettere l’intera armata, resta quindi solo la ritirata, ma data la vicinanza del nemico è prevedibile che più di una unità di retrovia potrebbe restare stritolata dagli alleati incalzanti.
L’emozione è tanta nel campo francese, immediatamente viene inviato un corriere al Re Vittorio Emanuele.
31 maggio
Oggi un corriere ufficiale inviato dal M.llo Giulay è giunto al Quartier Generale dell’Imperatore, è latore di una richiesta di armistizio: propone che gli Austriaci lascino la Lombardia e chiede un incontro con l’imperatore, preannunciando l’arrivo del Kaiser austriaco; l’incontro potrà avvenire a Villafranca ?!
ALOIS DE GHETTI
Corrispondente del “Fajence, ma ville, ma patrie”, prestigioso periodico edito nelle Romagne (Stato della Chiesa).

venerdì 9 settembre 2011

1860 – 2010 A 150 anni dalla “Spedizione dei Mille”, la più incredibile campagna militare della storia d’Italia

Da QUARTO a MARSALA

La notte dal 5 al 6 maggio 1860: la fatidica notte d’Italia. Notte fredda, calma, serena. La luna segna sul mare una lunga traccia luminosa e non attenua nel cielo lo splendore delle stelle che sembrano infondere fede e speranza.
Grande folla di popolo ai margini della strada che porta allo scoglio di Quarto, da dove si imbarca Garibaldi con pochi fedelissimi. Lunga è l’attesa dei piroscafi, che si attendono da Genova sotto la guida di Nino Bixio.
Solo sul far del giorno appaiono all’orizzonte, quando le navi partono sul far del giorno Garibaldi sul Piemonte e Bixio sul Lombardo i volontari sono quasi senza munizioni, infatti i barconi che le portavano sono stati involati da un contrabbandiere, certo Profumo; furono recuperate più tardi ed inviate successivamente in Sicilia con la spedizione Agnetta. La cassa della spedizione conteneva 90.000 lire (ne erano state spese fino ad allora 231.870).
Le navi non furono “cedute” dall’armatore Rubattino, ma dal suo direttore e procuratore Fauché che venne prontamente destituito dall’Armatore per quel gesto.
 QUANTI SONO I VOLONTARI?
1089 secondo l’elenco riveduto e corretto nel 1878 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale: di cui 1044 italiani, 33 esteri e 12 di origine ignota, vi era anche una donna, Rosalia Montmasson, savoiarda, moglie di Crispi.
Provenivano dal milanese (350), da Genova (160), Bergamo, Brescia e Pavia, vi erano 42 Siciliani.
Prevalevano gli uomini di studio: 150 circa gli avvocati, 100 medici, 100 commercianti, 50 ingegneri, 20 farmacisti, 50 capitani marittimi, 10 pittori e scultori, parecchi scrittori e professori di scienze e lettere, 3 ex preti, alcuni seminaristi, operai e nessun contadino.
Al mattino del 7 le navi giungono a Talamone. Garibaldi in divisa da Generale piemontese si presenta al sottotenente De Labar comandante del porto per ottenere armi e munizioni, altre ne ottiene il Turr che si reca a Orbetello comandato dal Ten. Col Giorgini, questi due comandanti piemontesi verranno entrambi posti sotto processo, ma il Tribunale sentenziò il “non luogo a procedere”.
Il giorno seguente le navi ripartirono con il Col. Zambianchi e 64 uomini diretti al confine pontificio.
 A MARSALA
All’alba del giorno 11 i due vapori arrivano in vista di Marsala dove vengono viste all’ancora due navi, ma i pescatori comunicano che si tratta di navi inglesi; da quel porto la sera precedente erano partite 4 navi borboniche (una Divisione navale), la sosta a Talamone ha evitato l’incontro con la flotta nemica.
Il Piemonte si ancorò tra i due bastimenti inglesi, il Lombardo invece, non trovando fondo sufficiente, andò in secca all’entrata del porto. L’arrivo dello Stromboli, di ritorno da Sciacca non influisce sullo sbarco: per iniziale rispetto di possibili equipaggi inglesi.
 A SALEMI – CALATAFIMI
Il mattino del 12 i volontari muovono verso nord, in direzione di Salemi che dista una quarantina di chilometri da Marsala: caldo soffocante, salite e discese lungo una semplice mulattiera.
Nel frattempo a Napoli, appreso dello sbarco il Governo borbonico invia ai suoi rappresentanti all’estero un telegramma furente con il quale condanna: “L’atto di selvaggia pirateria commesso da un’orda di briganti, pubblicamente organizzati in uno stato non nemico”.
Durante la marcia grazie a La Masa e Nicolosi, giungono squadre di volontari, un sacerdote Gaspare Salvo, offre in dono a Garibaldi due vecchi cannoni di bronzo, sotterrati dopo le rivolte del 1849.
A Palermo grande agitazione e richiesta di ulteriori rinforzi: ricordiamo che il Castelcicala, delegato a governatore dell’isola, cui erano già affidati 21.000 uomini e 64 pezzi di artiglieria, riunisce le sue truppe a Palermo ad esclusione della colonna del generale Landi il quale già dal giorno 9 era giunto ad Alcamo con l’8° Btg Cacciatori, un Battaglione del 10° di Linea, il Btg. Carabinieri ed uno Squadrone di Cacciatori a cavallo con una batteria da montagna, in totale 2.700 uomini e 4 pezzi di artiglieria.
Landi aveva già avanzato verso Salemi dove gli risultava la presenza dei volontari, ma ricevuto l’ordine di rientrare a Palermo, decise di fermarsi sulle alture di Calatafimi.
E fu battaglia, aspra, violenta e con tanti morti e feriti, non certo quella facile vittoria che i libri di scuola ci hanno tramandato! Colpiti il maggiore Elia al fianco di Garibaldi, mentre intorno a lui cadevano morti o feriti Montanari, Schiaffino, Nullo, Giorgio Manin, Sirtori, Stocco, Missori, Maiocchi, Menotti e altri.
Dopo l'ennesimo assalto alla baionetta dei garibaldini, i borbonici suonano la ritirata: sono convinti di aver vinto hanno infatti catturato la bandiera ed ucciso quello che a loro sembra il capo dei "banditi", ma prima hanno combattuto fino ad esaurire le munizioni: 127  (quasi 12%) i fuori combattimento (32 morti) per i garibaldini, 111 per i borbonici, tra i caduti l’Alfiere Schiaffino (perdita della bandiera di Valparaiso) ed il Montanari ( Difesa di Roma del 1849 e Anita).
AVVICINAMENTO e BATTAGLIA per PALERMO
Difesa da più di 20.000 borbonici, artiglierie, fortezze con depositi inesauribili di munizioni e, sul mare, da una forte squadra navale. Il Generale Lanza, sostituto del Castelcicala sceglie di attaccare Monreale difesa da Rosolino Pilo. Garibaldi si sgancia da Piana dei Greci dalle soverchianti forze del Mekel. Cade il valoroso Carlo Mosto.
Con queste ritirate Garibaldi convince il nemico di aver rinunciato ad entrare in Palermo, dirige infatti – apparentemente verso Corleone – tanto che il Mekel, che insegue Garibaldi, comunica al Lanza di star tranquillo in Palermo che sta per assestargli il colpo di grazia, in realtà insegue appena 150 uomini dell’Orsini.
Nella notte tra il 26 ed il 27 maggio Garibaldi con circa 3500 uomini di cui appena 750 dei Mille di Quarto, entra da Porta Termini in Palermo; ancora a mezzogiorno del 26 il Lanza ha telegrafato a Napoli “La banda di Garibaldi, in rotta, si ritira disordinatamente su Corleone. Egli è incalzato.”
Che Palermo non sarà una passeggiata Garibaldi lo capisce al momento dell’ingresso dove è fortemente contrastato e lancia all’attacco tutto ciò che ha a disposizione: cadono feriti Benedetto Cairoli, Canzio, Tukory, e lo stesso Bixio. Ne seguono tre giorni di lotta serrata, di rivolta della popolazione, il 30 maggio giunge notizia che le truppe del Mekel, rientrano verso Palermo e si dirige proprio sulla stessa Porta da cui è entrato Garibaldi, ma è sorpreso dalla notizia del tutto inattesa di un armistizio concluso qualche ora prima fra il Lanza e Garibaldi dal quale non è estraneo l’Ammiraglio inglese Mundy. La sera del 30 Lanza convoca un Consiglio di guerra per riprendere le ostilità, ma poche ore prima del termine delle ostilità arriva il Colonnello Bonopane, Sottocapo di Stato Maggiore con una proposta del Re di proporre a Garibaldi una proroga di tre giorni dell’armistizio di 24 ore.    Francesco II nella speranza che dando una prova di umanità e di saggezza politica, avrebbe ottenuto il favore della Francia e dell’Inghilterra per conservare la corona di Napoli e forse per recuperare con trattative diplomatiche, la corona di Sicilia, dopo ulteriore proroga dell’armistizio al 6 giugno, autorizzò la capitolazione.  I Mille non avevano più che 390 fucili ed erano quasi senza cartucce.
20.000 uomini dell’esercito regio uscirono dalla città, avevano perduto 4 ufficiali e 205 militari di truppa, i feriti furono 33 ufficiali e 529 militari di truppa (poco meno del 5%), occorsero 12 giorni per il loro esodo completo da Palermo.
L’APPOGGIO di CAVOUR
Già il 19 giugno sbarcava a Castellamare del Golfo la spedizione Medici (2700 volontari con 8000 carabine rigate e 400.000 cartucce) ai primi di luglio a Palermo la spedizione Corte (900 uomini), il 5 luglio la colonna Agnetta con 556 uomini e circa 1000 fucili, il 7 arriva Cosenz con 2500 uomini, 4000 fucili e varie munizioni, poi giungono Sacchi, Dunn e Fabrizi.
LA CONQUISTA DELLA SICILIA
Il comando delle truppe regie rimaste in Sicilia viene assunto il 10 luglio dal generale Clary, che resta a Messina e dispone di un presidio a Milazzo di 1400 uomini a cui ne invia a metà mese altri 3000 al comando del col. Bosco con l’ordine di difendersi, “non assalire”. Contrariamente agli ordini ricevuti il Bosco attacca la mattina del 17 la colonna del Medici forte di ca. 2700 uomini: gravi perdite da ambo le parti; sosta il 18 e arrivo di rinforzi garibaldini, il 19 giunge Garibaldi che saputo del possibile arrivo di rinforzi da Messina decide di attaccare subito: il combattimento è feroce e Garibaldi lo sblocca riuscendo a salire a bordo del Tukory (nave piemontese ex Veloce il cui comandante passò con Garibaldi il 10 luglio) e facendo entrare in azione i suoi 10 cannoni per appoggiare l’azione di terra, il Bosco si ritira nel forte di Milazzo. I garibaldini hanno fuori combattimento almeno 750 uomini. Il 23 giungono 4 navi regie con un plenipotenziario incaricato di trattare la capitolazione: le truppe usciranno dal forte con l’onore delle armi; ai regi resterà la sola cittadella di Messina che si arrenderà solo il 12 marzo 1861. Ma ai liberatori ora è aperta la via verso il continente, ma per passare lo stretto occorreva fare i conti con la flotta borbonica e con un esercito (in Calabria) di circa 20.000 uomini.
Benchè il controllo dello stretto non fosse poi rigidissimo, molti ufficiali di marina simpatizzavano con le idee liberali, andarono comunque perse due navi: il Franklin incendiato ed il Torino subisce gravi danni, ma la forte avanguardia può attaccare Reggio che dopo debole difesa si arrende.
Dopo la resa di Reggio gli avvenimenti precipitano: nella notte dal 21 al 22 duro combattimento nel quale cade il valoroso De Flotte che comandava una compagnia di volontari esteri; il generale Vial, comandante in capo delle forze napoletane in Calabria, senza gli ordini dalla capitale e mal coadiuvato dai suoi, subisce passivamente gli eventi, in questa situazione fu ucciso il generale Briganti, altri reparti borbonici furono catturati o si dispersero senza combattere. In breve la rivolta divampò precedendo spesso l’avanzata dei garibaldini: ovunque veniva innalzato il tricolore, deposte le autorità regie, affidata la “cosa pubblica” a patrioti del luogo.
A Soveria (vicino a Cosenza) vi fu l’ultimo combattimento il 30 agosto, di fatto i garibaldini agli ordini del Barone Stocco bloccarono la via di ritirata dei circa 10000 uomini del generale Ghio, che finirono per arrendersi.
COSA ACCADEVA INTANTO A NAPOLI?
Benchè fin da metà agosto fosse stato proclamato lo stato d’assedio, i patrioti agivano più o meno nascostamente, e vi erano anche emissari del Cavour che cercavano di suscitare disordini in Napoli per togliere ai volontari il merito esclusivo della conquista. Le cancellerie estere si erano ormai persuase che il Piemonte avrebbe impedito ogni violazione alla libertà del Capo della Chiesa, e quindi Francesco II restò solo, e continuava ad esitare a prendere qualsiasi determinazione. Sul finire di agosto si era recato fra le sue truppe (quasi 40000 uomini per la maggior parte stranieri) per mettersi alla sua testa, ma le notizie dell’avanzata garibaldina ed il timore di ulteriori defezioni lo spinse ad ordinare al generale Ritucci di ritirare ciò che restava dell’esercito a nord del Volturno.
Solo l’11 i Regi lasciano gli ultimi forti napoletani, eseguendo gli ordini ricevuti per raggiungere il fronte sul quale attestarsi: sono tutt’altro che truppe allo sbando, soldati, ufficiali e sottufficiali rimasti fedeli a Francesco II dimostreranno il loro coraggio ed il loro valore sul Volturno e nella difesa di Gaeta, definita eroica anche da fonti non sospette di legittimismo, nella resistenza di Messina e di Civitella del Tronto. Poi il brigantaggio sarà l’ultima disperata sfida di chi non si rassegna alla resa.

domenica 4 settembre 2011

Il nuovo "Gladiatori"

E' in corso di definizione un nuovo regolamento sui "Gladiatori"ovvero il precedente Oplomachia (vedi blog inserito nel 2010) è in fase, direi pressochè completata, di rielaborazione.
La modifica sostanziale è il passaggio dalle mosse prefissate in stile Blue Max ad un sistema di carte movimento che permette ad ogni giocatore di elaborare la propria mossa giocando, una per volta e contemporaneamente all'avversario, l'azione che intende svolgere scelta tra le quattro disponibili: restare fermo sul posto,  ruotare a destra o a sinistra, arretrare al centro a destra o a sinistra, avanzare di un esagono. Naturalmente ogni Gladiatore, in base alle proprie caratteristiche ha disponibile un numero specifico di carte e ne può giocare un numero diverso appunto in relazione alle sue caratteristiche fisiche e di armamento.
A presto novità e spero di ricevere richieste di interesse.
Grazie.